mercoledì 29 agosto 2007

La Mostra del Cinema? Una palla...

Troneggia, al Lido di Venezia, la soluzione scenografica per il 75° anniversario della Biennale Cinema (sì, le Mostre in tutto sono "solo" 64, a causa delle numerose interruzioni principalmente belliche): un'enorme sfera demolisce il "vecchio" Palazzo del Cinema (che attualmente ospita la Sala Grande, la Sala Volpi e le due salette sotterranee per le proiezioni dedicate ai giornalisti, la Zorzi e la Pasinetti) in attesa di quello nuovo previsto, si dice, per il 2011 (ma ne riparliamo tra 4 anni...). L'idea è del sempre ottimo Dante Ferretti, che "ricicla" la palla di Prova d'orchestra di Fellini e si sbarazza, con ironia, degli onnipresenti, vetusti e kitschissimi leoni in compensato dorato che da anni ormai traboccano dagli sgabuzzini della Biennale (vedi il prossimo post): se ne vanno, sfrattati dal demolitore, dando le spalle all'edificio, dal quale fuggono ordinatamente. Una sorta di prepensionamento.


Il nuovo allestimento, che alleggerisce lo spazio dedicato alla passerella, si fonda dunque su un unico potentissimo simbolo: quella palla gigantesca che significa demolizione ma anche ricostruzione; che apre uno squarcio (quasi come nei quadri di Fontana) in risposta a coloro che vogliono vedere "oltre" le pareti della Mostra; che arriva all'improvviso dal nulla, elemento dirompente come solo il buon cinema sa essere; che spazza via, come mattoni ridotti in cocci, le convenzioni, i perbenismi, i benpensanti. Metafora del cinema, dunque, così come metafora del futuro. Forse una promessa: questa Mostra regalerà opere dilanianti. Tutto da vedere, specialmente dopo aver assistito ai primi due giorni di proiezioni.


Quel che è certo è che la notte, la prima vera notte della Mostra, ospita un film spiazzante, innovativo, fresco, aguzzo, basilare. Non stiamo parlando del pur pregevole Espiazione, ma di Per un pugno di dollari dell'intramontato Sergio Leone. Un film che è e contiene l'essenza del cinema stesso: ritmo (sia serrato, sia dilatato - ma mai stordente né barboso, equivoco in cui cadono tanti "giovini" registi quando giocano le carte dello stordimento o del meditabondismo), coesione, potenza delle immagini e fusione col sonoro (una delle migliori partiture di Ennio Morricone). Il restauro della pellicola, ad opera di Ripley's Film, è sbalorditivo: i gialli, i marroni e i blu spinti dell'effetto notte riempiono gli occhi; i dettagli sono così nitidi da rivelare un Clint Eastwood coi foruncoli e il moccio al naso (giuro!); la colonna sonora è pulita, tersa, forse troppo brillante sul versante degli alti (ma potrebbe trattarsi delle condizioni di proiezione).

Con Per un pugno di dollari inizia un genere, inizia un mito, inizia un'idea di cinema che non ha ancora trovato eguali: ed inizia la Mostra del Cinema, nel segno fortunato di un Maestro che ha saputo essere alto e basso, colto e popolare (cito indirettamente l'articolo apparso sul Gazzettino di oggi, firmato da Roberto Pugliese) come ogni film - e come ogni Mostra - dovrebbe essere.


Visti oggi (con voto da 0 a 10)
Per un pugno di dollari: 8
Venezia 75: 6
Enrico LXXV: 4


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